"Menomale che Silvio c'è". Così recitava lo slogan che il Cavaliere si è confezionato su misura e messo in bocca (non so se solo quello!) al branco di diversamenteintelligenti che gli vanno dietro.
C'è stato un periodo in cui chiunque fosse sostenitore del barzellettiere più famoso d'Italia pronunciava le suddette parole manco fosse l'ora pro nobis. E per rendere il tutto ancora più incisivo, ci ha pure costruito su una bella canzoncina. E' nota la passione di quell'uomo (??) per la musica. Ve lo ricordate con la bandana rossa in testa e il camicione bianco che cantava, ad una qualche festa di fine estate, accompagnato da un certo Apicella?!? Ah che immagini.
Dopo la triste dipartita, purtroppo solo dal mondo politico, Silvio si era eclissato. Triste, dimenticato, tutti lo immaginavano (o speravano) a condurre la vita di ogni vecchietto medio: al parco a passeggiare il cane e a raccoglierne la meda, un po' per quella legge del contrappasso che Dante ci ha insegnato ad amare!
Ma il silenzio, dono che in pochi coltivano, è durato poco! Silvio torna e lo fa nel suo stile: "Se verremo eletti concelleremo l'IMU. Perchè la casa è un diritto ed il fondamento della famiglia italiana".
Ora:
1- Ma che ne vuoi sapere tu di famiglia?!? Le prendi e le lasci a tuo piacimento. Hai non so quanti figli con due donne diverse (e sicuramente qualche altro nascosto ci sarà) e ti ergi a protettore del focolare domestico?!?
2- Se togli l'IMU i soldi per sanare i conti pubblici da dove li prendi?! Ti prostiuisci? O ci dovremo prostituire noi?
3- Il tipo che ti scrive i discorsi ce lo potresti far conoscere così da rinchiuderlo ad Alcatraz e buttare la chiave? Almeno la finiremo di sentire stronzate.
4- Spero che l'Italia si svegli e non si faccia circuire da te.
5- Mi spiace per i miei figli che un domani dovranno studiare l'idiozia di quest'uomo.
Post-it
Vaneggiamenti non autorizzati di una quasi trentenne alle prese con un mondo pazzo dal quale cerca di trarne il meglio. E l'unico modo per farlo è viverlo!
lunedì 17 settembre 2012
sabato 11 agosto 2012
I botteganti e Marie Antoniette
Ora: teoricamente dovrei lavorare. Praticatemte non c'è nessuno. Strade deserte. Negozio deserto. In momenti come questi mi dico che la crisi c'è ed è anche evidente.
Ogni mattina per venire a lavoro cerco di cambiare strada...mi piace guardare la mia città ogni giorno da un'angolazione diversa. Scoprire negozietti nuovi ed incontrare gente diversa. Si perchè la maggior parte delle persone è abitudinaria: ogni giorno la stessa strada, stessi orari, stessa routine. E così finisci per incontrare sempre le stesse persone e magari ti capita di fantasticare su di loro. Provi ad immaginare dove stanno andando o da dove stanno venendo. Cosa faranno. Cosa vedranno.
Ma non solo di persone è fatto il mio tragitto, ma anche e soprattutto di negozi. E quello che più di tutto mi sconcerta è vedere come sempre più negozi stiano chiudendo. E la medesima fine si prospetta per quello in cui lavoro io.
Cavolo, adesso che avevo trovato qualcosa che mi permettesse di mettere da parte un po' di soldi in attesa del lavoro della mia vita!
E' triste vedere come la nostra nazione stia implodendo. Realtà che sembravano consolidate chiudono. Tutti lamentano il fatto di non riuscire a coprire le spese con quello che guadagnano e, se non vuoi metterti in mano a quei "simpatici" soggetti che ti prestano "volentieri" dei soldi in cambio della tua anima, l'unica soluzione è chiudere.
E si finisce per attuare un meccanismo senza via d'uscita: se non ci sono soldi non si investe. Se non si investe non ci sono posti di lavoro. Se non ci sono posti di lavoro non ci sono investimenti per nuove attività.
Ma siamo veramente destinati a non venirne fuori? Davvero non c'è una soluzione?
Ma tipo evitare l'aumento dell'IVA e sostituirla con la diminuzione degli sprechi politici? Si, ok discorsi già fatti. Ma veramente stiamo ancora così bene da non ribellarci come si deve? Aspettiamo la novella Maria Antonietta che inviti qualcuno a gettarci delle brioche quando non avremo più pane?!
Ogni mattina per venire a lavoro cerco di cambiare strada...mi piace guardare la mia città ogni giorno da un'angolazione diversa. Scoprire negozietti nuovi ed incontrare gente diversa. Si perchè la maggior parte delle persone è abitudinaria: ogni giorno la stessa strada, stessi orari, stessa routine. E così finisci per incontrare sempre le stesse persone e magari ti capita di fantasticare su di loro. Provi ad immaginare dove stanno andando o da dove stanno venendo. Cosa faranno. Cosa vedranno.
Ma non solo di persone è fatto il mio tragitto, ma anche e soprattutto di negozi. E quello che più di tutto mi sconcerta è vedere come sempre più negozi stiano chiudendo. E la medesima fine si prospetta per quello in cui lavoro io.
Cavolo, adesso che avevo trovato qualcosa che mi permettesse di mettere da parte un po' di soldi in attesa del lavoro della mia vita!
E' triste vedere come la nostra nazione stia implodendo. Realtà che sembravano consolidate chiudono. Tutti lamentano il fatto di non riuscire a coprire le spese con quello che guadagnano e, se non vuoi metterti in mano a quei "simpatici" soggetti che ti prestano "volentieri" dei soldi in cambio della tua anima, l'unica soluzione è chiudere.
E si finisce per attuare un meccanismo senza via d'uscita: se non ci sono soldi non si investe. Se non si investe non ci sono posti di lavoro. Se non ci sono posti di lavoro non ci sono investimenti per nuove attività.
Ma siamo veramente destinati a non venirne fuori? Davvero non c'è una soluzione?
Ma tipo evitare l'aumento dell'IVA e sostituirla con la diminuzione degli sprechi politici? Si, ok discorsi già fatti. Ma veramente stiamo ancora così bene da non ribellarci come si deve? Aspettiamo la novella Maria Antonietta che inviti qualcuno a gettarci delle brioche quando non avremo più pane?!
giovedì 9 agosto 2012
Stay . Nel labirinto della mente – Marc Forster
A volte arrivi ad un film per
caso, a volte su consiglio. A Stay ci
sono arrivata grazie all’attore protagonista: Ryan Gosling.
Che la mente umana sia complessa
e talvolta difficile da comprendere si sa. E l’immagine del labirinto (magari
uno di quelli in cui dentro ci corre un topino bianco disperato perché non
trova la via d’uscita e finisce per restarci!) mi è sempre sembrata perfetta
per rendere l’idea!
Stay è un film di quelli che solitamente definisco “allucinati”.
Inizia tutto con un incidente
stradale, un ragazzo che si alza ed una storia che comincia.
Henry è ossessionato dall’idea di
aver ucciso i suoi genitori. Sarà questo il motivo che lo spingerà ad andare in
terapia dal dottor Sam Foster. Tra i due si instaurerà una strana dinamica:
Henry confessa a Foster la sua intenzione suicidaria, programmata per il sabato
seguente, giorno del suo ventunesimo compleanno. E per Foster diventa una corsa
contro il tempo nel tentativo di salvare il ragazzo.
A volte si ha come l’impressione
che in realtà tutto quello che sta avvenendo sia a metà tra un sogno del dottor
Foster ed una sua imminente follia delirante. Non si capisce quanto di reale ci
sia in Henry. Avete mai visto The Others
con la Kidman? Ecco, quella è la sensazione che si ha in certi momenti; che
tutto ciò che stai guardando non appartiene a questo mondo.
È la scena finale a rivelare come
stanno le cose: il film non è altro che il delirio onirico di un uomo morente.
Henry, in realtà non si è salvato dall’incidente, ma rimasto gravemente ferito,
giace sull’asfalto attorniato da tutti i personaggi che hanno popolato il suo
viaggio pre-morte.
Un po’ Lost style. La scena finale è pressoché identica: il protagonista
riverso a terra con lo sguardo perso nel vuoto ed il mistero che viene svelato.
Magistrale Ryan Gosling. Avevo
avuto dimostrazione della sua bravura già in altri film, e qui non si smentisce.
Sempre impassibile ed apparentemente monoespressione,
si rivela di un’intensità toccante.
Ottima anche l’interpretazione di
Ewan McGregor, divenuto famoso per il ruolo, decisamente più leggero, di
Christian in Moulin Rouge. Mai
eccessivo, intenso, riesce a farti vivere la stessa ansia e le stesse paure che
vive lui. La sua apparente pazzia diventa la tua. Più che con gli occhi di
Henry è con i suoi che vivi l’intera storia.
Nel complesso è godibile,
nonostante la trama non semplice né prevedibile; quando pensi di aver capito
vieni immediatamente smentito. E probabilmente è proprio questo che ti cattura e
ti spinge a vederlo fino alla fine.
martedì 24 luglio 2012
American Beauty – Sam Mendes (1999)
Due sono gli elementi che a primo
acchito non capisci: il titolo del film e la locandina.
American Beauty ha un nonsochè di
romantico, crea nell’immaginario medio l’idea di una storia d’amore, magari
quelle turbolente ma che finiscono bene.
Poi, però, ti ritrovi davanti la
locandina a metà tra Moulin Rouge e una vecchia foto di Marilyn su Playboy, e
la cosa ti spiazza non poco.
Inizia a guardare il film senza
troppe pretese, nonostante chi lo ha visto prima di te e conseguentemente
consigliato, lo ha definito un capolavoro.
Jane è la classica adolescente in
crisi, che odia se stessa, la famiglia ed il mondo intero. Ed esprime il
desiderio che ogni adolescente, senza troppe ipocrisie, almeno una volta nella
vita ha espresso: voglio uccidere i miei. Di solito le figlie, nel pieno rispetto
del complesso edipico, vorrebbero uccidere la madre per ottenere le attenzioni
dell’uomo che, per eccellenza, domina la vita di ogni donna: il padre. Ma qui
le teorie freudiane si capovolgono e i propositi omicida sono rivolti al padre,
all’oggetto posseduto che riversa le sua attenzioni su un’amica della figlia.
Le premesse sono confermate dalla
voce fuori campo di Lester che ci preannuncia la sua morte.
Quella presentata, più che la
perfetta famiglie in stile Mulino Bianco, è la famiglia che la maggior parte di
noi ha: due genitori che non comunicano più, stanchi l’uno dell’altro, il cui
amore si è perso chissà dove. Una famiglia le cui cene sono riempite da silenzi
ingombranti o da urla ingiustificate. Carolyn è la classica donna maniaca del
controllo che rovina il primo momento, dopo anni, di intimità col marito
rimproverandolo di star per versare la birra sul divano. Eccessivamente attenta
all’immagine di sé che viene percepita dagli altri “fondamentale per il suo
lavoro”. Ma il suo perbenismo e la sua rigidità non le impediscono di tradire
il marito, perché si sa che quando ci sentiamo desiderate, noi donne non
capiamo più niente!
Lester è l’apparente anello
debole della storia. Apparentemente perché in realtà è l’unico che finisce per
liberarsi dalle convenzioni sociali e tirarsi fuori dal ruolo che gli altri gli
hanno imposto di recitare, e tornare ad essere sé stesso. Molla il lavoro, si prende cura di se e comincia a
vivere la vita che ha sempre voluto.
Parallelamente la storia di un’altra
famiglia ci viene raccontata, quella di Ricky,che prima spia Jane, filmandone
ogni mossa, e poi ne diventa il fidanzato. Un ragazzo che ha per padre un
colonnello dell’esercito omofobo che gli impartisce la disciplina a suon di
pugni, sposato ad una donna completamente sua succube.
Le vite delle due famiglie si
intrecciano inevitabilmente: Ricky diventa il ragazzo di Jane ed il pusher di
Lester. E sarà proprio questa sua “attività” che porterà alla morte di Lester. Una
morte con tanti potenziali assassini: la vicenda si è talmente complicata che
non è più solo Jane a volere l’uomo morto, ma anche Frank, che crede che l’uomo
costringa il figlio Ricky a rapporti omosessuali, e Carolyn che, scoperta dal
marito, viene lasciata dall’amante.
Lester, silenzio, ricordi che gli
fluttuano in testa guardando una vecchia foto, colpo di pistola. Immagini,
formuli ipotesi su chi possa essere stato e la risposta è, davvero, la meno
scontata…
Le aspettative non sono state
deluse. Il film è davvero ben fatto, la sceneggiatura non è mai scontata.
I personaggi sono ben definiti e fanno si che lo spettatore, a seconda del sesso
o dell’età, possa identificarsi.
Evidente la critica alla “bellezza”
delle famiglie americane, solo apparente e condizionata dall’idea che in America
sia tutto perfetto. In realtà, per quanto banale sia, “tutto il mondo è paese”.
“È una gran cosa quando capisci che hai ancora la capacità di
sorprenderti ti chiedi cos'altro puoi fare che hai dimenticato!”
giovedì 19 luglio 2012
Vent'anni
Vent’anni
Vent’anni fa ammazzavano Borsellino.
Vent’anni e due mesi fa ammazzavano Falcone.
Vent’anni dopo nessuno li ha dimenticati.
Vent’anni fa ero una bambina, avevo appena sette anni, ma di quelle due morti ho un ricordo nitido (per quanto possa esserlo quello di una bimba!). Della strage di Capaci ho un’unica immagine in testa e ancora oggi quando la visualizzo un brivido mi percorre le braccia: la strada.
Le esplosioni furono talmente forti e devastanti che la strada si sollevò letteralmente da terra, squarciata, piegata come fosse stata di cera pongo. Fu questa la prima immagine che i telegiornali mandarono in onda. Io ero piccola e non avevo bene la percezione che quella era una morte “importante”, una morte che avrebbe segnato un pezzo della storia dell’Italia e soprattutto della mia terra. Ricordo l’agitazione che si respirava a casa mia. I miei erano visibilmente sconvolti, come se a morire fosse stato un parente. La concitazione dei cronisti che cercavano di dare quante più notizie possibili: Falcone morto. La scorta tutta ammazzata. La Morbillo appesa ad un filo; e a quel filo per un po’ ci attaccammo tutti. Ma alla fine anche lei non ce la fece.
Un’altra immagine si aggiunse, qualche giorno dopo, a quella della strada: il discorso della moglie di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone. Una donna distrutta dal dolore che ha la forza di dire: io vi perdono ma dovete mettervi in ginocchio.
http://www.youtube.com/watch?v=hoH6zBP5SBs
La mia terra, meravigliosa, già zozzata da troppo sangue, non ha il tempo di riprendersi da queste morti, che due mesi dopo la mafia s’asciugò anche l’amico di Giovanni, Paolo.
Quando appresi la notizie della morte di Borsellino ricordo che stavo giocando con mia sorella. Era domenica pomeriggio, le tapparelle abbassate per evitare che il caldo asfissiante entrasse in casa. Mio padre guardava uno di quei programmi che la domenica cercano di intrattenere un pubblico stanco dalle fatiche lavorative, che fu immediatamente interrotto per lasciar spazio alla notizia. All’immagine del palazzo, dove abitava la sorella da casa della quale Borsellino era appena uscito quando una bomba nella sua auto lo uccise, si sovrappose quella della strada di qualche settimana prima.
Per quanto piccola fossi, capivo che qualcosa di grave stava accadendo.
Vent’anni dopo in pochi si sono scordati di Falcone e Borsellino, due uomini più che due eroi. Due uomini che hanno perseguito ciò in cui credevano, che lo hanno fatto non per gloria o riconoscimenti (come di solito l’eroe fa!), ma per senso del dovere. Vent’anni dopo ci sono insegnanti che spiegano ai più giovani cosa accadde nell’estate del 1992. Vent’anni dopo ci sono ancora persone che sfilano per strada e che zitte non vogliono stare.
Vent’anni e due mesi fa ammazzavano Falcone.
Vent’anni dopo nessuno li ha dimenticati.
Vent’anni fa ero una bambina, avevo appena sette anni, ma di quelle due morti ho un ricordo nitido (per quanto possa esserlo quello di una bimba!). Della strage di Capaci ho un’unica immagine in testa e ancora oggi quando la visualizzo un brivido mi percorre le braccia: la strada.
Le esplosioni furono talmente forti e devastanti che la strada si sollevò letteralmente da terra, squarciata, piegata come fosse stata di cera pongo. Fu questa la prima immagine che i telegiornali mandarono in onda. Io ero piccola e non avevo bene la percezione che quella era una morte “importante”, una morte che avrebbe segnato un pezzo della storia dell’Italia e soprattutto della mia terra. Ricordo l’agitazione che si respirava a casa mia. I miei erano visibilmente sconvolti, come se a morire fosse stato un parente. La concitazione dei cronisti che cercavano di dare quante più notizie possibili: Falcone morto. La scorta tutta ammazzata. La Morbillo appesa ad un filo; e a quel filo per un po’ ci attaccammo tutti. Ma alla fine anche lei non ce la fece.
Un’altra immagine si aggiunse, qualche giorno dopo, a quella della strada: il discorso della moglie di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone. Una donna distrutta dal dolore che ha la forza di dire: io vi perdono ma dovete mettervi in ginocchio.
http://www.youtube.com/watch?v=hoH6zBP5SBs
La mia terra, meravigliosa, già zozzata da troppo sangue, non ha il tempo di riprendersi da queste morti, che due mesi dopo la mafia s’asciugò anche l’amico di Giovanni, Paolo.
Quando appresi la notizie della morte di Borsellino ricordo che stavo giocando con mia sorella. Era domenica pomeriggio, le tapparelle abbassate per evitare che il caldo asfissiante entrasse in casa. Mio padre guardava uno di quei programmi che la domenica cercano di intrattenere un pubblico stanco dalle fatiche lavorative, che fu immediatamente interrotto per lasciar spazio alla notizia. All’immagine del palazzo, dove abitava la sorella da casa della quale Borsellino era appena uscito quando una bomba nella sua auto lo uccise, si sovrappose quella della strada di qualche settimana prima.
Per quanto piccola fossi, capivo che qualcosa di grave stava accadendo.
Vent’anni dopo in pochi si sono scordati di Falcone e Borsellino, due uomini più che due eroi. Due uomini che hanno perseguito ciò in cui credevano, che lo hanno fatto non per gloria o riconoscimenti (come di solito l’eroe fa!), ma per senso del dovere. Vent’anni dopo ci sono insegnanti che spiegano ai più giovani cosa accadde nell’estate del 1992. Vent’anni dopo ci sono ancora persone che sfilano per strada e che zitte non vogliono stare.
martedì 17 luglio 2012
Deliri politicanti.
Tra le frasi fatte che meno mi piacciono ce n’è una che proprio detesto “le cose cambiano senza che tu possa accorgertene”. L’idea di non poter controllare i cambiamenti, si sa, inquieta, e non poco.
Poi capita che per una settimana sei completamente fuori dal mondo: niente telegiornali, quotidiani, radio. Finito il periodo di isolamento involontario cerchi di recuperare un po’ quello che ti sei perso e comincia a leggere, sfogliare ed ascoltare.
E che ti ritrovi davanti?!
DELIRIO.
Con ordine:
1)Napolitano, quel simpatico vecchietto che sta a capo della nostra Repubblica, ultimamente sembra non godere più di un largo consenso. Tutto iniziò quando alla richiesta di alcuni studenti di non firmare l’allora riforma Gelmini, Lui se ne infischiò amabilmente e legittimò lo scempio che ancora oggi è l’università italiana. Per non parlare delle innumerevoli fiducie date al governo Berlusconi prima di decretarne la fine.
Oggi Giorgio decide di prendersela con la magistratura. Mio caro Silvio, finalmente non sarai più solo nella tua battaglia contro le toghe rosse!
La questione è semplice: nell’inchiesta che cerca di stabilire se ci furono e in che misura delle trattative tra Stato e mafia, capita venga intercettata una telefonata tra Mancini e Napolitano. Poco male. La procura afferma subito che il presidente non è coinvolto in nessun modo e la questione finisce qui. O almeno dovrebbe. Invece Giorgio decide che c’è "conflitto di attribuzione" tra i poteri e scatena il suo cane da guardia in sua difesa.
Evidentemente il principio per cui “se non hai nulla da nascondere con hai nulla da temere” non è valido per i nostri politici.
http://www.ilpost.it/2012/07/16/decreto-napolitano-contro-procura-di-palermo/
2)Ma Giorgio non è l’unico politico in vena di scherzare. A tornare in scena è il mattacchione per eccellenze, l’uomo più divertente che il panorama politico potesse regalarci, colui senza il quale molti comici hanno rasentato la depressione: Silvio. Berlusconi torna con la barzelletta più divertente di tutte: scende in campo per la sesta volta a capo della sua coalizione, perché l’Italia ha bisogno di lui. Dà, quindi, il ben servito ad Angelino, che già pregustava il potere, e come se non bastasse vorrebbe far tornare in auge Forza Italia, in sostituzione dell’odierno PDL. Ora sarebbe il caso di spiegare a quest’uomo che le barzellette ci hanno stancato, che di lui non sappiamo che farcene e che se davvero vuole fare il bene del paese che andasse ai giardinetti pubblici a raccogliere gli escrementi dei cani!!!
3)E dulcis in fundo LEI, la donna dalla bocca a metà tra un canotto ed una rana, colei che ha fatto dell’incoerenze la sua bandiera, la donna che non parla ma urla insensatezze continue: Daniela Santanchè. Questa vergogna (una delle tante, in realtà) per il genere femminile sostiene che la Minetti debba dimettersi. Ragione ne ha da vendere, ma magari sarebbe il caso che facesse lo stesso lei!
Se questa è la gente che dovrebbe risollevare il paese è meglio rassegnarci: la fine è vicina.
mercoledì 27 giugno 2012
Il lavoro non è un diritto.
L’ Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Così recita l’art. 1 di quella che dovrebbe essere (mi si consenta il condizionale) la nostra Costituzione.
Scritta dai padridellapatria (che si l’hanno fondata ma che ultimamente l’hanno lasciata orfana) è il pilastro più importante nella nazione Italia.
Ora, ci hanno provato molte volte ed in modi diversi a metterla in discussione o modificarla. Spesso la sovranità del popolo è andata a farsi benedire. Perché si sa che ci illudono di poter decidere, ma la verità è che in fin dei conti a gestire la cosa pubblica son sempre i soliti quattro. Ma che queste cose le facesse Silvio era quasi cosa scontata. Si sa, quell’uomo è un simpaticoumorista ed ogni tanto una delle sue perle deve pur regalarle.
Oggi, però Silvio non c’entra (cosa più unica che rara!).
L’ennesimo screditamento di quel pezzo di carta scritto 65 anni fa viene da una donna che, ultimamente, una ne fa e cento ne sbaglia. La ministra Fornero, quella che debuttò in politica tra le lacrime, afflitta (lei?!) per le drastiche misure prese dal governo per sanare i conti pubblici, dichiara al WSJ che i cari giovani italiani devono ficcarsi in testa che: mica tu studi vent’anni, investi migliaia di euro per una formazione, che la maggior parte delle volte e più scadente di quella del Burkina Faso, e poi pretendi di avere un lavoro! E no, mio caro, IlLavoroNonèUnDiritto. Non è scritto da nessuna parte che ti spetta. … … … ah, no. Forse, Ministra, c’è quella cosa chiamata Costituzione che ADDIRITTURA fonda un’intera nazione sul lavoro. Non so, vuol fare concorrenza al suo compare che tempo fa dichiarò che il posto fisso è noioso?!?
Fate così: andate da una delle famiglie di quelle decine di imprenditori/operai/precari che si sono ammazzati perché non si annoiavano abbastanza. Poi, cara ministra, torni a far dichiarazioni al WSJ e vediamo se ha il coraggio di ribadire le stesse cose.
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